Didattica a distanza. Dad. Un acronimo che si è fatto ampio spazio nel lessico familiare dell’era covid, accompagnato da altri termini relazionali quali isolamento, smart working, congiunto, affetto stabile. Un allargamento di vocabolario che dimostra la capacità umana di plasmare il linguaggio con lo scopo di entrare in confidenza con la crisi in corso, oggi denominata covid.
Desidero condividere con voi alcune riflessioni sul tema DAD perchè in questi ultimi mesi la richiesta di aiuto, supporto, orientamento da parte dei ragazzi e delle famiglie su questo tema è stata crescente. Inoltre, mi ha ispirato un’intervista al dott. M. Ammaniti sull’impatto del covid nei bambini e negli adolescenti.
La prima riflessione riguarda nello specifico cos’è successo agli adolescenti tutti: il loro orizzonte così come lo conoscevamo è stato trasformato. D’improvviso, gli sdraiati, gli hikikomori, i cutting, gli adolescenti tutti hanno visto la loro realtà quotidiana sospendersi: routine, educazione, attività extra, relazioni amicali, dinamiche familiari. Tutto sospeso, tranne quel necessario processo di cambiamento psico- fisico che l’adolescente sperimenta attraverso il proprio corpo. Corpo a cui improvvisamente è stato tolto il teatro dove potersi sperimentare: stop gruppalità, scuola, amicizia, amore. Realtà sospesa, teatri chiusi, nessuna possibilità di sfruttare routine e scenari a disposizione per trovare compenso delle forti forze interne che spingono il cambiamento adolescenziale. Senza dimenticare quel delicato confronto con l’angoscia di morte che il covid ha posto in ognuno di noi, loro compresi, che con l’angoscia di morte vivono già un confronto faticoso dovendo affrontare il lutto per la loro parte infantile che cede il posto al loro diventare giovani adulti.
In questa adolescenza sospesa, la famiglia è divenuto l’unico teatro possibile. Famiglia che anch’essa ha visto al suo interno trasformarsi gli equilibri affettivi, relazionali e sociali. Spesso anche lavorativi. Gli equilibri, le routine, le dinamiche così come la famiglia le aveva apprese e tramandate, sospesi. Il primo lockdown ha anche offerto aspetti generativi di ritrovata coesione, di ritmi più godibili, di routine più ricche su un piano del gioco e del benessere. L’estate ha permesso di rigenerare corpo e mente, ma l’autunno e l’inverno sono stati inesorabili per le nostre famiglie: da un lato il nuovo equilibrio familiare creatosi, caratterizzato da vita sociale assente, figli in DAD e genitori in smart working o impegnati in nuove stressanti sfide lavorative; dall’altro lato, l’angoscia di morte presente ormai da quasi un anno, con delicati equilibri generazionali e sociali da trovare per i genitori: preservare la salute dei nonni o garantire ai propri figli adolescenti di sperimentarsi uscendo di casa? Questa complessità ha reso più difficile la funzione genitoriale, ossia quel reinvestire nella relazione di coppia, reinvestire nel sociale, trovare un equilibrio lavorativo, favorire l’autonomia dei figli, ridefinire i confini della famiglia, fungere da porto sicuro e riferimento affettivo ed etico rispetto alle esperienze altre dei ragazzi.
In questo scenario di adolescenza sospesa e famiglie tese nella ricerca di nuovi equilibri, la DAD. DAD che ora è il principale elemento organizzatore della vita degli adolescenti: offre routine, dà un ritmo, attiva a sperimentare, richiama dinamiche di gruppalità, tocca temi educativi ed etici. Ma come si è passati da elemento stabilizzatore ad elemento che ha amplificato la crisi dei ragazzi? E’ bene evidenziare alcuni punti per rispondere a questo:
lo strumento: la DAD per compiersi utilizza device (pc, tablet, tv, smartphone) solitamente associati a momenti di gioco, di svago, che permettono di dare sfogo a bisogni di natura relazionale (virtuale) o a impulsi aggressivi connaturati nel processo di sviluppo dell’adolescente. Inoltre le ricerche dimostrano che la carta resta lo strumento percepito come migliore dai ragazzi nello studio;
i processi cognitivi: quando la tecnologia serve per giocare attiva un certo tipo di processi cognitivi, quando viene utilizzata per studiare ne attiva altri. Spesso i ragazzi non riescono a trovare la giusta integrazione tra queste due tipologie di processi, sperimentando quindi difficoltà di attenzione e concentrazione, difficoltà nello stare dentro il “qui e ora” della lezione, difficoltà nella memoria procedurale;
il gruppo: un anno solare di DAD a cavallo tra due anni scolastici ha reso assente il senso e le dinamiche di gruppo. Chat di classe silenti, scarsa collaborazione, scarsa identificazione con il gruppo classe, pensieri individualistici, confronto inesistente. Senza contare le ricadute future di tutti quei compagni di classe che nel silenzio si sono allontanati dalla DAD, per limiti tecnologici o di pregressa natura;
gli insegnanti: l’insegnante occupa il posto dell’altro adulto significativo insieme ai genitori. Un posto speciale e complesso che in questa DAD è praticamente assente. Sta mancando quella relazione tra prof e studenti che permette a questi di sperimentarsi, di immaginarsi, di identificarsi, di staccarsi, di confliggere. Manca la relazione, solitamente alla base di ogni strumento educativo;
la scuola: quale scuola? Perché la scuola oggi è la propria stanza, il proprio device, il proprio pensiero e metodo di studio, le proprie credenze. Con l’aggravante che questo è praticamente l’unico ingrediente della giornata dei ragazzi, nient’altro;
i genitori: quando non sono comprensibilmente in ansia per le fatiche storiche dette sopra, si sono sentiti investiti di un ruolo non loro: educatori. In buona fede, al meglio delle loro potenzialità, ma pur sempre con una confusione di fondo rispetto a ruoli e confini che non è risorsa per i ragazzi;
il rapporto con sé stessi: il passaggio più delicato. La DAD per le sue caratteristiche impone ai ragazzi di stare troppo in contatto con se stessi, rispetto a quanto vorrebbero o a quanto ne sono capaci. Penso al piano temporale, dove la DAD è onnipresente e unico ingrediente di giornata; penso al piano spaziale dove la DAD annulla i confini della casa, dentro la casa e tra impegno e svago; penso soprattutto al complesso rapporto con la propria immagine dovuto alla webcam. Immaginiamo di guardarci allo specchio per 5 ore, e mentre lo facciamo attraverso lo specchio vediamo i nostri compagni di classe che ci osservano…
In conclusione, ora disponiamo di qualche elemento in più per poter comprendere la crisi di alcuni ragazzi rispetto alla DAD, per poterli aiutare ad affrontarla e sviluppare risorse in loro presenti. Gli insegnanti potrebbero dedicare maggior energia alla cura della relazione durante la DAD, i genitori potrebbero disinvestire i panni da educatore e riprendere il loro naturale ruolo di polo affettivo e di prospettiva, la scuola potrebbe scegliere di andare a riprendersi con progetti ad hoc i ragazzi “dispersi”, andando oltre la classica telefonata alle famiglie. E i ragazzi? I ragazzi meritano da parte di tutti gli adulti educatori coinvolti la costruzione di un clima di ascolto, di supporto, di contenimento e di prospettiva, solo così saranno capaci di confrontarsi con la DAD non come evento spartiacque della loro vita, ma come una delle tante complessità a cui far fronte con nuove risorse, verso un futuro che necessariamente li vede come protagonisti.
Giuliano Bidoli